Disabili: nessuna ricompensa, solo diritti civili



Come se le molte complicazioni pratiche, spesso gravi, che chi soffre di disabilità deve fronteggiare ogni giorno non fossero sufficienti, un’altra difficoltà vi si aggiunge giornalmente, e purtroppo è un tipo di ostacolo che neppure le più moderne piattaforme elevatrici sono in grado di sopraffare. Infatti è una barriera che non fa parte dell’ambiente circostante, ma del nostro atteggiamento intellettuale: è nascosta nel nostro intimo, e sfortunatamente radicata nei nostri pensieri.

Siamo infatti abituati a vedere il problema dei disabili come una questione di misericordia, e in un certo senso, perfino di consolazione: e come capita per tutte le idee intimamente radicate, abbandonare questa visione ed evolversi ad un’ottica più giusta e rispettosa – giacchè di rispetto si tratta – ci può risultare spesso arduo, tanto più perché fatichiamo perfino, istintivamente, a riconoscere quale possa essere l’errore che commettiamo. In breve, di solito, ci pare giusto riconoscere che elargire ai disabili qualche agevolazione – come parcheggi riservati, e accessi facilitati – sia, tutto sommato, una giusta consolazione per le difficoltà e il dolore che patiscono giorno per giorno.

Di fatto, però, un’analisi onesta e corretta da un punto di vista etico ci dimostra che, con questo atteggiamento, stiamo prendendo la via più agevole, e che in conclusione non ci richiede grossi sforzi, se non la spesa di qualche euro per installare ora segnalatori acustici ai semafori, ora rampe d’accesso.

Ma dovremmo concepire che non è di favori che stiamo parlando. Offrendo queste agevolazioni d’accesso e d’uso a chi soffre di disabilità, noi non ricompensiamo queste persone della loro fatica, nè stiamo offrendo loro un qualche tipo di conforto: quello che stiamo facendo è un dovere molto più banale, ossia confermare i loro diritti fondamentali.

Se infatti eliminiamo dal nostro approccio anche le tracce più sottili di buonismo, e prescindiamo da una generosità in conclusione finta e poco sincera, che spesso non ha altra funzione che quella di farci sentire buoni anzichè quella di assistere il prossimo, la questione che abbiamo davanti riguardo all’abbattimento delle barriere architettoniche diventa semplice, e a dire il vero perfino quasi ovvio nella sua chiarezza:

1. noi riconosciamo, ed è un tratto essenziale della nostra civiltà, che esistano dei diritti fondamentali, che spettano a tutti quanti:

2. ne deriva che per poter dire “civile” la nostra società, è essenziale fare sì che tali diritti siano estesi a tutti e da tutti godibili, in ogni situazione;

3. Se le condizioni fisiche di un cittadino lo mettono in difficoltà nel godere di tali diritti, è ovvio e naturale fare in modo di creare le strutture e i servizi per ristabilire la situazione corretta.

C’è chi potrebbe obiettare che, tutto sommato, non c’è poi tanta differenza sostanziale fra I due approcci, e che in fin dei conti anche il primo dei due porta, in conclusione, all’analisi, ricerca e abbattimento delle barriere architettoniche, affiancandolo poi con una costante manutenzione. Anche ammesso, tuttavia, che questo sia vero, la dfifferenza fra approcci permane, ed è essenziale per delineare una distinzione precisa fra la civiltà e la carità: due cose molto diverse.